“Non c’è nulla che possa decidere dell’onore meglio della lama di una spada”
Nella lingua giapponese il termine generale per designare la principale arma del samurai è ken, ma ve ne sono moltissimi altri che variano a seconda dell’epoca, delle dimensioni, della forma, del tipo di lama o impugnatura.
Il nome con il quale la spada giapponese viene comunemente designata in occidente è katana. In realtà, katana è propriamente il nome della spada lunga che assieme alla spada corta wakizashi costituisce il daishò, la “grande coppia” di armi, appannaggio esclusivo della casta dei samurai, emblema del loro rango e simbolo del loro onore fino alla restaurazione dell’imperatore Meiji, che nel 1868 con un tristemente famoso editto disarmò per sempre i guerrieri nipponici.
Il metodo di costruzione di una spada consiste, a grandi linee, in tre processi principali: la costruzione della lama, la tempratura e la lucidatura. La spada giapponese nasceva dalla preparazione di un pacchetto di metallo nel quale la parte interna era composta di ferro e la parte esterna d’acciaio, secondo una combinazione che poteva prevedere diversi strati alternati, rispettando la regola che l’acciaio ricoprisse sempre il nucleo più tenero di ferro. I pacchetti di metallo venivano riscaldati, battuti e ripiegati su se stessi svariate volte; con questa tecnica si potevano ottenere lame composte da oltre ottomila strati e una purificazione del metallo ancora oggi irraggiungibile.
Come sopra accennato, la fabbricazione di una spada assumeva anche un carattere mistico: era credenza comune che una buona lama assorbisse la personalità del suo forgiatore e che avesse, in un certo senso, una vita occulta. Un aneddoto molto noto può servire da esempio. Muramasa, un forgiatore di talento ma di pessimo carattere, era perseguitato da una cattiva fama in quanto tutte le sue lame parevano coinvolgere chi le possedeva in sanguinosi duelli letali. Un uomo volle mettere a prova la tempra di una spada di Muramasa immergendola in un ruscello in mezzo alle foglie sospinte dalla corrente: ogni foglia che sfiorava la lama veniva tagliata in due. In seguito venne immersa nel torrente una spada forgiata dal grande Masamune, maestro di Muramasa: le foglie scansavano la lama. Si disse che ciò testimoniava la grandezza di Masamune, il più grande spadaio di tutti tempi, e che “la spada di Muramasa è tremenda, quella di Masamune compassionevole”. Tremenda se impugnata da mani brutali o arroganti, la katana diveniva anche capaci di atti benevoli, persino di “dare la vita” quando nelle mani di un adepto che praticava il bushi no nasake, la propensione del guerriero verso la clemenza e la generosità.
Alcuni pensano che l’atto di colpire sia uguale al colpire
ma il colpo non è il colpire, così come l’uccisione non è l’uccidere.
Sia chi colpisce sia chi è colpito
non sono nulla più che un sogno privo di realtà.
Non esiste alcun pensiero
soltanto il vuoto perfetto…
La vittoria arride a chi
persino prima di combattere
non pensa più a se stesso
poiché dimora nella Grande Origine dove non vi è pensiero.
Sacha Fornaciari
Da “Prahos” n. 1/2 – luglio 2007
Link: The Society for preservation of Japanese Art Swords
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Le parti di una Daito (spada lunga)
Kissaki – la punta della lama, il Boshi è il punto temperato
Ha – la parte tagliente, il Mune è il dorso della lama
Hamon – la linea di tempra sinuosa (ondulata) che corre lungo il filo di lama
Horimono – l’incisione sulla lama vicino al paramano
Nakago – il codolo
Saya – la sciabola
Tsuba – la protezione della mano
Sageo – il cordone ornamentale legato sul fodero
Tsuka – la maniglia; Same ‘- l’involucro in pelle di razza del manico
Koiguchi – la bocca fodero; Kojiri
Mune-Machi – tacca posteriore utilizzata per misurare la lunghezza della lama